La casa dei giochi

marzo 12, 2009

C’era una volta la casa dei giochi, passati di mano in mano dai fratelli maggiori ai minori, dai cugini ai piccoletti, come i vestiti che non vanno più bene quando cresci. Nella casa che poi era un garage, ma a noi piccoletti sembrava un immenso parco giochi al chiuso c’erano le biciclette rotte per giocare a far i meccanici; le spade di Zorro per invincibili duelli in cui contavano i rifletti ma pure la recitazione perché quando l’avversario ti colpiva, dovevi morire bene. C’erano le carte per giocare a scala Quaranta con lo stecco di liquerizia in bocca a mò di innocua sigaretta, per darsi un tono da grandi. C’erano i palloni , alcuni da basket e altri da calcio, che li usavi anche sgonfi, tanto l’importante era tirare e calciare. C’erano un sacco di pezzi di legno da colorare e accatastare a piacere e c’erano, lo ricordo bene, le vecchie bambole che vestivi o usavi come cavie per testare l’effetto che fa su un corpo lo schianto dell’ultima macchinina a molla ricevuta in regalo per Natale. E i martelli e i seghetti ( quelli stavano in alto sugli scaffali, ma la forza del gruppo trovava il modo di arrivarci, usando sempre i più piccoli come lunghe mani) con cui testare l’effetto che fa su una macchinetta a molla appena ricevuta per Natale un bel colpo assestato all’improvviso. C’erano i birilli e le bocce, c’erano i cerotti per quando cadevi dalla bici e facevi il muso duro con i lacrimoni che ti scendevano sulle guance e guardavi sconvolto i sassetti conficcati a stella nella pelle del tuo ginocchio viola. C’era quella specie di palla da rugby attaccata ad un filo con ai lati le doppie maniglie che facevi volare di forza sulle mani del tuo avversario. C’erano le trottole, le biglie e pure i tappi, che erano uno spasso, erano. Nella casa dei giochi ci si passava ore e quando i giochi li avevi provati tutti, non ti restava che nascondino, strega comanda color, e se proprio non ti passava la voglia e ne volevi ancora, c’era il campanon segnato a terra con il gesso dai più bravi. E poi tutti, sfiniti dalla scorribanda, ci si buttava a terra a pensare cosa saremmo stati da grandi. E lì, tra carabinieri, astronauti, ballerine e maestre, si passava a giocare ai ruoli. Tu fai il paziente e io faccio il dottore e c’era già allora chi aveva una passione smodata per l’anatomia e voleva vedere, da vero scienziato, perché le bambine per far la pipì non possono solo abbassare la cerniera del jeanz, e perché se tiri un pallone in mezzo alle gambe di Pippo, rimane per terra mezz’ora a urlare, quell’attore. E così nella casa dei giochi si scopriva che, giocando, si impara.

2 Risposte to “La casa dei giochi”


  1. Bellissimo, e mi consola vedere che ci sono bambini che così giocano ancora. Certo c’è più tecnologia ma quei giochi che si creano da soli rimangono perle nel tempo (così come quelli che hai descritto). ciao

  2. michiamomitia Says:

    grazie spaziocorrente, troppo buono


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